
Oggi ci troviamo immersi all’interno di un grande acquario nel quale la proliferazione delle connessioni mobili, lo sviluppo delle applicazioni tecnologiche piccole e indossabili sono inarrestabili. È la società digitale, che ci fa “conoscere” meglio noi stessi, il mondo e gli altri, attraverso la tecnologia.
Facciamo tutti ricorso ai servizi della rete, consci del fatto che non sapremmo come farne a meno. Ma questi servizi richiedono l’acquisizione di informazioni che fanno parte della nostra sfera personale. Ed ecco che l’acquario si riempie e, in questo contenitore senza tempo e spazio, continuano a confluire una quantità spropositata di dati personali, orientamenti, immagini, pezzi di identità, della nostra vita, come parti di un mosaico che formano il nostro “profilo”.
Il diritto alla protezione dei dati personali, riconosciuto dalla Carta europea dei diritti dell’uomo oggi deve fare i conti con la rete e tutte le nuove tecnologie della comunicazione.
I dati sono ormai diventati merce di scambio, esposti alla raccolta continua.
L’archivio di enormi quantità di informazioni, che vengono aggregate ed analizzate è il primo obiettivo della profilazione di massa, utile a conoscere gli orientamenti dei consumatori. La sofisticata pubblicità comportamentale dei monopolisti di internet crea legami esclusivi tra produttori e consumatori, finalizzati a orientare le nostre scelte e conoscenze.
Tutti i dati dell’acquario possono quindi essere usati per costruire profili anche minuziosi di cittadini da controllare – anche per ragioni “legittime” -, con modi e prassi invasive.
Questo succede perché non c’è alcun conflitto di interesse tra chi gestisce una banca dati e il diritto delle persone a cui questi dati appartengono.
Oggi, il regolamento europeo 679/2016 sta pienamente entrando i vigore e le aziende si stanno allinenando alle disposizioni in esso contenute.
A tutela dei diritti degli interessati, il nuovo regolamento generale sulla protezione dati ha infatti introdotto diverse linee guida e obblighi per i titolari. L’obbligo principe è sicuramente quello alla trasparenza, secondo cui al titolare è imposto di comunicare all’interessato gli eventuali destinatari – parti terze – dei dati personali raccolti.
Se è vero che spesso l’informativa lascia il tempo che trova, è altrettanto veritiero che una lacuna di questo tipo da parte di un datore potrebbe far scattare sanzioni anche molto pesanti.
In questo contesto, di recente, PayPal che raccoglie una vastità davvero impressionante di dati personali da tutto il mondo ha provveduto ad aggiornare la sua informativa, dettagliando i soggetti terzi a cui vengono comunicati i dati dei propri clienti.
Dove vanno le nostre informazioni personali? Indirizzi mail, numero di telefono, indirizzo di residenza? PayPal ce lo dice proprio qui https://www.paypal.com/uk/webapps/mpp/ua/third-parties-list
Una lista infinita di compagnie. Sono loro i destinatari dei nostri dati personali, se abbiamo almeno una volta utilizzato questo sistema di pagamento.
Una riflessione sorge, allora, spontanea. Se il diritto alla protezione dei dati è tutelato e l’obbligo alla trasparenza rispettato, forse è davvero il caso di iniziare a dare un’occhiata a quelle informative tanto noiose che ci danno la misura del perché, ogni pomeriggio alle 14, suona puntuale il telefono per comunicarci l’ennesima imperdibile offerta.