Tutti gli strumenti per presentarsi adeguatamente ai mercati esteri e individuare i terreni fertili in cui far fiorire la propria impresa

Investire all’estero è oggi la parola d’ordine per grandi imprese e PMI. Ma quali sono i passi per una efficace internazionalizzazione? E’ sufficiente un’analisi dei mercati esteri per rendersi conto se e quanto potrebbe essere fruttuoso investire all’estero?

Internazionalizzare è un imperativo entrato prepotentemente nello scenario delle imprese italiane, soprattutto di recente, ma riuscire a presentarsi correttamente ai mercati esteri, individuare i settori più fertili e sfruttare le opportunità che offrono, non è semplice. Per lo meno, non lo è per tutte le grandi imprese e nemmeno per le PMI. Spetta agli imprenditori reperire, ideare e progettare le migliori soluzioni per vincere la sfida con la competitività estera.

La necessità per gli italiani di investire all’estero, in parte dovuta agli strascichi della crisi italiana, porta con sé nuove necessità che conducono le aziende a puntare non più esclusivamente sulla delocalizzazione delle produzioni o sul trasferimento delle proprie sedi in paesi che presentano una fiscalità meno aggressiva della nostra. Oggi, il tentativo da parte delle imprese italiane di spingersi altrove si permea di nuovi significati, mutuando le esperienze degli imprenditori che hanno optato per il salto dimensionale oltre confine e hanno vinto la loro scommessa.

Internazionalizzare oggi vuol dire puntare ai mercati esteri mantenendo inalterato il valore del made in Italy, marchio che è sinonimo di garanzia e di eccellenza, qualità riconosciute in tutto il mondo.

Fare i propri investimenti all’estero significa riuscire a penetrare nei mercati in cui il know how ed i prodotti italiani sono fortemente richiesti e rappresentano un importante valore aggiunto.

Le opportunità in giro per il mondo sono molteplici: basta saperle riconoscere e utilizzare a proprio vantaggio. A maggior ragione per le piccole e medie imprese, per le quali è importante valutare se abbiano tutte le caratteristiche per fare il grande salto. La valutazione deve partire dall’analisi del prodotto, in quanto un buon prodotto, soprattutto specialistico ed innovativo, riesce sicuramente a conquistare e a trovare terreno fertile nei mercati esteri.

Pianificare con cura anche l’aspetto organizzativo è fondamentale. Servono figure strategiche a supporto dell’azione, occorre ridefinire la struttura produttiva, attivare un canale di intermediazione, gestire le pratiche doganali. Tutto questo può scoraggiare l’imprenditore ma puntare ai nuovi mercati può rappresentare il percorso obbligato per la sopravvivenza di molte realtà produttive, soprattutto le più piccole.

L’immagine dell’Italia all’estero è ottima ma è d’obbligo sottolineare come il made in Italy abbia diverse sfide aperte. La prima delle quali è riuscire a fare sistema. All’estero molti settori simbolo come moda, food, il design sono la piena espressione del potenziale del made in Italy ma ci sono anche molti campi meno noti in cui il nostro paese eccelle. Sono per lo più settori nei quali non siamo immediatamente riconoscibili pur essendo un paese dalle molteplici eccellenze. Ed è chiaro come, nel mondo globalizzato, sia necessario fare rete per riuscire a vincere le sfide col futuro.
Ricordarsi che c’è differenza fra export ed internazionalizzazione è sempre importante, perché internazionalizzare significa anche effettuare investimenti produttivi delle aziende all’estero, quindi creazione di posti di lavoro nei paesi in cui si sceglie di investire, puntando ai mercati che devono ancora svilupparsi localmente. Perché chi non produce in loco, ad esempio in Cina, emblema della produzione a basso costo, fa fatica ad entrare.

La domanda che ci si può porre quindi è una sola: è uno sforzo a portata di PMI? Selettivamente si. La dimensione dell’azienda che sceglie di investire all’estero non ne determina un successo o, al contrario, un insuccesso. Ci sono grandi aziende con mentalità datata e piccole imprese che possono riscuotere un grande consenso.
Si tratta pur sempre di traguardi che richiedono una grande dose di coraggio, ma solo raramente il problema dipende dalla dimensione dell’azienda. Più spesso, forse, dalla cultura di chi la sostiene.