
Se volessimo descrivere la cultura della sicurezza potremmo dire che è l’insieme dei processi e delle pratiche professionali ed organizzative, delle norme e convenzioni formali o scritte, dei modi di pensare e soprattutto di percepire e rappresentare il rischio in azienda.
In questo senso, la cultura della sicurezza non può che porsi come il terreno in cui condividere e attuare le pratiche di prevenzione, con l’obiettivo di orientare verso la riduzione dei rischi tutti i comportamenti sia individuali che collettivi.
È evidente come in un simile scenario, a tali comportamenti è attribuito un valore etico e sociale oltre che economico e che la prevenzione debba urgentemente essere inclusa nelle strategie di impresa quale fattore di impulso, discriminante per il vantaggio competitivo.
Perché ciò avvenga, perchè ci sia un’effettiva maturazione di quella che si chiama cultura della sicurezza, è necessaria la responsabilizzazione di tutti i destinatari delle norme ed una chiara distinzione di ruoli e competenze all’interno del processo organizzativo.
Oggi, promuovere la cultura della sicurezza significa superare la concezione secondo cui adempiere all’obbligo normativo sia l’unica condizione per prevenire e tutelare la sicurezza e la salute sul lavoro. Un obbligo che per altro spesso viene inteso e vissuto come onere e come fattore che ostacola l’organizzazione. Ma se a livello normativo la salute è qualificata come diritto individuale fondamentale, è anche un interesse della collettività, per cui il singolo non è il solo riferimento della protezione della sicurezza sui luoghi di lavoro ma lo è la dimensione collettiva a cui esso appartiene. L’interesse al concetto di salute all’interno di una comunità lavorativa, è interesse di tutti i lavoratori sottoposti a rischi. La più recente normativa nazionale e internazionale pone l’individuo al centro delle azioni di tutela, una tutela intesa come concetto sociale, per la quale è necessario adattare alla collettività le azioni e gli interventi, in quello che viene definito un approccio olistico alla prevenzione.
Con un simile ragionamento, risulta fondamentale il passaggio da un sistema basato sulla tutela dalle malattie ad un sistema incentrato sulla tutela della salute, intesa come stato di benessere sociale, psichico e fisico, cosi come definito anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’essere in salute non dovrebbe valutare solo parametri medici ma anche quelli culturali e sociali legati soprattutto agli stati d’animo, ad una sfera quindi più strettamente connessa con l’intimo.
Il processo di costruzione della cultura della prevenzione dovrebbe quindi partire dall’osservazione dei comportamenti, passando per l’interiorizzazione delle norme e dei valori per poi strutturarsi con la diffusione delle pratiche che si sono acquisite. Un processo sicuramente complesso, in cui scambio ed influenze sono tese a costruire reti di relazioni e pratiche condivise.
Fino a non troppi anni fa, ci si limitava ad operare una valutazione della sicurezza sui luoghi di lavoro con un approccio estremamente tecnico, che si poneva di indagare sui malfunzionamenti operativi in seno alle aziende. Da questo, ne derivava poi la necessità di adottare un approccio medico-legale che aveva il compito di analizzare le implicazioni e l’impatto delle norme sulla salute dei lavoratori. Oggi, invece, l’approccio alla sicurezza deve evolversi verso una dimensione in grado di abbracciare aspetti legali, sanitari, sociali, culturali, psicologici ed economici.
Perché la sicurezza non è solo la ricaduta delle norme sulle persone, ma è costruzione di una cultura della formazione, dell’organizzazione del lavoro e delle strategie di intervento in termini di risarcimento per le vittime di infortuni. È miglioramento condiviso e partecipato delle condizioni di lavoro, ma è anche condivisione dei sistemi in grado di incentivare tutti i livelli coinvolti.