
Il mercato richiede competenze digitali. È ora di darsi una mossa e di rinnovare percorsi didattici e universitari come delle skills di chi è già impiegato.
Da un’analisi dei dati divulgati dall’Osservatorio sulle competenze digitali condotto da Anitec Assinform con AICA, Assintel e il supporto di CFMT, Confcommercio e Confindustria in collaborazione con MIUR e AGID, si evince quanto la situazione in termini di competenze, per l’Italia, sia preoccupante. I big data parlano chiaro: non sono solo le professioni che includono gli specialisti ITC ad essere chiamati in causa, ma anche le professioni tradizionali a cui va estesa l’attenzione.
In tutte le professioni è ormai richiesta la presenza di skill digitali. Dal pubblico alla manifattura, fino all’industria del fashion e all’Hospitality. Eppure anche se non si fa cenno di competenze avanzate, stando al Digital economy and society Index (DESI) che ne misura il livello, il Bel Paese sembra essere in fondo alla classifica europea, appena 24esimo, dietro a Grecia, Bulgaria e Romania. Quart’ultimo, per l’anno in corso.
Se si pensa che in futuro circa il 60% delle posizioni disponibili nell’industria sarà occupato da chi è in possesso di queste capacità, è chiaro come per agganciare le potenzialità di Industria 4.0 e concretizzare la cittadinanza digitale, sia necessario un colpo di coda importante e un’accelerazione in qualsiasi comparto e a qualsiasi livello.
In questo momento storico, in cui è importante ridurre il divario tra domanda e offerta, le e-skill risultano cruciali.
Lo studio conferma invece un trend italiano di tutt’altro impatto. Secondo l’Osservatorio, le skill digitali di base pesano per il 41% nell’Industria, per il 49% nei Servizi e per il 54% nel Commercio. È chiaro come nell’industria prevalgano skills avanzate, ritenute fattori di una professionalità maggiormente evoluta e questo si accentua ancora di più per il Core business delle azienda, dove le percentuali di rilevanza media delle skills avanzate sale al 63% per l’industria e al 41% per i servizi.
Inoltre, i dati confermano che esista una correlazione molto forte fra le competenze digitali e le soft skill, ovvero le abilità che vanno dal problem solving al team working, fino al pensiero creativo e alla capacità di parlare in pubblico e di comunicare.
Malgrado il problema sembri non essere solamente italiano ma interessi anche il resto del vecchio continente, la ricerca di esperti in possesso di abilità digitali specifiche in Italia è ardua. Un ritardo che, se letto in numeri, registra che oltre il 20% della popolazione italiana nel 2017 non ha mai effettuato un accesso ad Internet.
Sempre secondo il DESI, l’indice che misura il livello di competenze digitali, nello stesso anno il 43% della popolazione europea non era in possesso di skill digitali sufficienti, il 17% non ne aveva alcuna ed il 35% non possedeva neanche le skill di base richieste per ricoprire le posizioni occupate.
Gli studi dimostrano quindi quanto l’Italia abbia urgente bisogno di definire un’importante strategia di sviluppo delle competenze che sia capace di incentivare la produttività e quindi l’economia. È quanto si afferma anche nel Report “Skill for a Digital World” dell’OCSE. Promuovere la diffusione delle tecnologie digitali è fondamentale per riuscire ad aumentare la produttività di un paese. La priorità sembra essere quindi la soluzione dell’inadeguatezza delle competenze di base. Solo per citare qualche dato, in Italia circa il 3,3% degli adulti raggiunge livelli più alti, contro l’11% della media dei 24 paesi partecipanti ed il 22,6 del Giappone, in testa alla classifica. E solo il 26,4% riesce a raggiungere un basilare livello di competenza linguistica. Secondo il report dell’OCSE, “alla scarsa offerta di competenze non può che corrispondere una debole domanda da parte delle imprese. Per questo motivo ci troviamo davanti ad un’emergenza che non può più essere deferita e a cui si deve far fronte il prima possibile con la formazione”.
Un grande ruolo in effetti, nel tentativo di soddisfare la domanda del mercato, rinnovando percorsi universitari e scolastici e convertendo le skills di chi lavora, lo ha anche il Governo. Una certa lungimiranza in tal senso è da riconoscere nel pacchetto per lo sviluppo dell’ex ministro Calenda, con il credito di imposta al 40% per le imprese che investono in formazione e l’incremento degli istituti di formazione terziaria alternativi all’Università. Ciò che ci si augura è che il nuovo esecutivo punti all’intensificazione delle competenze digitali perchè le misure del 4.0 vengano recepite e potenziate soprattutto dalle startup, vero motore del cambiamento dell’industria italiana.