Tra responsabilità etica e paventate minacce, la scommessa per le aziende è riuscire ad integrare robot e capitale umano

L’IA è un’intelligenza collaborativa all’interno del rapporto e binomio uomo-macchina. Con le sue competenze, l’uomo dota la macchina dei dati che le sono necessari al funzionamento e la macchina ottimizza le possibilità dell’uomo.

Se la si vedesse esclusivamente in quest’ottica, l’intelligenza artificiale non scatenerebbe alcuna paura. Peccato che le posizioni di chi la vede come una minaccia intenta a rubare il lavoro all’uomo, senza migliorarne le metodologie di lavoro, oggi rimane ancora saldamente in piedi.

Quello che forse più fa paura è la necessità di re-immaginare il lavoro e trovare un nuovo approccio, studiare un nuovo modo che consenta all’intelligenza artificiale anche di essere responsabile. Una cosa è certa: le aziende vengono poste davanti a sfide importanti. Nuove abilità, tanta formazione, un impegno il cui punto d’arrivo può, nel 2018, solo essere intravisto.

Chi oggi ha una versione più integrata del fenomeno, continua a ritenere che il fattore umano sarà sempre centrale e che il robot non è cattivo come potrebbe sembrare, ma invece ha il merito di ampliare le capacità dell’uomo, sviluppandone anche ulteriori capacità complesse.

L’intelligenza artificiale probabilmente non prenderà il nostro posto per rivoltarsi contro di noi e il tempo che utilizziamo a gestire questi timori sarebbe forse più utile investirlo per farci aiutare proprio dai robot, per risolvere i nostri problemi, semplificando le operazioni che ancora oggi sono in mani umane.

A guardarla volendo essere ottimisti, si prospetta che nel medio termine l’IA favorirà la nascita di milioni di posti di lavoro, specialmente in ambito industriale e nel terziario. I robot contribuiranno probabilmente a far nascere professioni oggi impensate. Perché le macchine vanno pensate come innovazioni e tecnologie con cui collaborare; sta poi all’uomo aggiornare le sue abilità e competenze per stare al passo con il progresso.

Oggi abbiamo processi dinamici, che si adattano, estremamente personalizzati e tutto ciò non fa altro che parte del cambiamento delle funzioni, dei ruoli. Molte aziende hanno già innovato il loro approccio, utilizzando al meglio il capitale umano, grazie all’interazione uomo-macchina.

Siamo ormai dentro una nuova fase, quella della post-automazione, in cui l’imperativo fondante è re-immaginare tutto. Ed è importantissimo che le aziende immaginino un nuovo modo di organizzarsi, si re-inventino, valorizzando ciò che possiedono già e accogliendo l’innovazione.
La sfida le vede protagoniste attive: dovranno focalizzarsi sulla formazione, in modo da adattare le professioni attuali a quello che sarà il nuovo mercato, in linea con la rapida diffusione dell’intelligenza artificiale e non solo.

Flessibilità e adattabilità sono e saranno gli ingredienti che il fattore umano dovrà sempre mettere a disposizione del robot, in un continuo gioco di rimandi votato all’integrazione, per un binomio uomo-macchina che non ha velleità di autoesaurirsi.

È solo prendendo le capacità migliori di una persona ed integrandole alle capability di un software che l’IA potrà garantire la sua migliore performance. Perché anche il migliore algoritmo ha bisogno di capitale umano per garantire ottimi risultati.
E se l’intelligenza artificiale farà fatica ad essere responsabile, etica, occorreranno persone responsabili in grado di formulare regolamenti, di monitorarne i processi, perché sia sempre impiegata a beneficio dell’umanità.

Un imperativo che solleva la questione etica di una IA che riesca ad essere trasparente e onesta, perché la responsabilità degli atti che l’intelligenza artificiale compie, devono sempre e comunque far capo alle persone.