
Attrarre investimenti diretti dall’estero ha una valenza strategica per l’Italia. Il Bel Paese vive una fase di ripresa non ancora sufficiente a colmare il gap rispetto alle economie concorrenti e, in questa direzione, gli investimenti diretti dall’estero non sono ancora riusciti ad offrire un contributo decisivo alla crescita del Paese. E ciò, malgrado il livello di fiducia risulti in aumento nel mondo. A testimoniarlo, diversi studi a carattere internazionale che mostrano come la performance delle esportazioni, traino della ripresa, non ne abbia risentito particolarmente.
Il Gruppo di lavoro Affari Economici & FDI dell’Amenican Chamber of Commerce in Italia ha di recente analizzato i fattori di competitività del Paese, sottolineandone i principali elementi di forza e debolezza e approfondendo il tema della capacità di attrarre investimenti diretti dall’estero, focalizzando l’attenzione sulla relazione del sistema imprenditoriale italiano e statunitense.
I risultati dell’approfondimento hanno fornito raccomandazioni e suggerimenti ai policymakers, soprattutto sulle leve di miglioramento attivabili a stretto giro.
Secondo gli ultimi dati, nel 2016 l’Italia ha registrato un calo di 950 milioni di dollari in direzione investimenti flow dagli USA. Dallo studio, basato su una survey e su interviste qualitative alle aziende USA presenti in Italia che hanno ormai consolidato nel Paese modelli di successo nel mondo, emergono linee macro di azione utili ad incrementare l’attrattività.
Il potenziale dell’Italia è ancora elevato per gli investitori esteri, americani inclusi, a condizione però che vengano realizzate riforme già in programma e si prosegua con il supporto agli investitori in un quadro di politica industriale in linea con gli ambiti internazionali. Uno sforzo politico e organizzativo notevole, malgrado i cambiamenti non renda necessaria l’immissione di risorse economiche troppo elevate. Una visione chiara e coerente nella linea di esecuzione del cambiamento, potrebbe già di per se essere una leva importante in tal senso.
Dati alla mano, secondo il Bureau of Economic Analysis del Dipartimento Usa del Commercio, dal 2003 al 2015 gli investimenti Usa in Italia sono scesi del 2,6%, da 23,1 a 22,5 miliardi di dollari, mentre gli investimenti italiani negli Stati Uniti hanno registrato un aumento del 312,6%, dai 6,9 miliardi di dollari del 2003 ai 28,6 miliardi del 2015. Nonostante questa discesa, le aziende americane riconoscono il valore della loro presenza nel Paese, a tal punto da convincerle a continuare ad investire. Il 30% delle aziende intervistate riconosce l’altissima qualità del capitale umano ed il 20% le capacità di innovare soprattutto in ambito tecnologico; il 17% è convinto che l’Italia potrebbe essere un hub per il Mediterraneo.
Aspettative e proiezioni incoraggianti che si scontrano però con l’incapacità di attirare nuovi investitori a causa dei vincoli legali o burocratici oltre che per limiti strutturali che ci pongono alle spalle dei partner europei.
A leggerla così, sembrerebbe che la percezione sulle aspettative di miglioramento globale, per il prossimo quinquennio resti al palo. Lo 0% delle aziende intervistate infatti si attende “miglioramenti significativi”, anche se il 66,7% è certa di un miglioramento. Il 33,3% non si attende “alcun miglioramento”.
La mancanza di tempi certi, la lungaggine delle tempistiche per processi civili e penali, per l’ottenimento di permessi, la mancanza di trasparenza delle dinamiche pubbliche ed il costo del lavoro sono le problematiche più lamentate da chi investe da anni nel nostro Paese. Il 12% delle aziende è preoccupato per la performance economica ed il 22% del continuo stato di incertezza sulle imposte da corrispondere negli anni.
Criticità note a cui AmCham punta in direzione risolutiva con tre macro aree di intervento, che potranno rendere la macchina amministrativa pubblica più “investor fliendly”. Tra i primi accorgimenti utili: sveltire il sistema della giustizia e rafforzare il Tribunale delle imprese per l’accorciamento delle tempistiche di risoluzione delle controversie; sviluppare il concetto di one-stop-shop; identificare, infine, un numero maggiore di progetti che abbiano dimensioni tali da attrarre l’interesse dei grandi investitori esteri.
Linee di indirizzo che potrebbero essere implementate, per prime, dal manifatturiero 4.0 e da quel 70% di imprese che vede nell’Italia un hub per la logistica integrata verso il Medio Oriente, l’Africa e tutto il nord Europa.