Migliorando il sistema di lavoro migliora tutto perché il personale che si sente rispettato e protetto è portato a lavorare con maggiore convinzione, a vantaggio di tutta l'azienda

La sicurezza, anzi la mancata sicurezza sul carrello elevatore, continua ad essere tristemente in cima alla cronaca anche in questo periodo.

È di appena poche settimane fa la vicenda del ragazzino che, nel veneziano, ha perso la vita schiacciato da un muletto; sempre a inizio settembre un operatore a Brescia è caduto da un carrello elevatore; vicino Bergamo una persona è stata investita sempre da un carrello elevatore in un magazzino; ad agosto a Massa Carrara un portuale è rimasto schiacciato da un carrello elevatore.
Le persone continuano a morire o a farsi male con i carrelli elevatori.

Perché?

Possiamo parlare di fatalità, disattenzione, incuria, superficialità, errore… ma la riflessione deve essere più profonda, non è più possibile trovare una motivazione particolare per ogni incidente che si verifica, non possono esistere spiegazioni che suonano quasi come scusanti.

È ormai un dovere morale fare una riflessione più approfondita.

Quello che davvero manca oggi, la lacuna che non possiamo più permetterci di ignorare, è la cultura della sicurezza.

Troppo spesso infatti tutto ciò che riguarda la sicurezza è visto come restrittivo, un rallentamento al lavoro, un appesantimento dell’operatività. Troppo spesso la formazione sulla sicurezza è poco più di un compito da portare a termine in fretta, un obbligo da assolvere per legge.

La sicurezza in azienda è molto di più, puntare sulla sicurezza permette di ottenere ben altri vantaggi, oltre a quello sostanziale di salvaguardare operatori e merci.

Significativa la storia di Alcoa, multinazionale dell’alluminio, e della sua svolta iniziata nel 1987, quando ne assunse la direzione Paul Henry O’Neill. Nel suo discorso di insediamento parlò di sicurezza e di come questo punto sarebbe stato centrale nella sua gestione aziendale. La sorpresa per questo discorso fu generale ma il ragionamento era molto semplice: O’Neill credeva che migliorando il sistema di lavoro migliorasse tutto perché il personale che si sente rispettato e protetto è portato a lavorare con maggiore convinzione. Mantenne la sua promessa, riuscì ad eliminare incidenti e infortuni… e le azioni della ditta a fine mandato erano quintuplicate di valore. Oltre ad aver mantenuto in salute tutti gli operatori, questa rivoluzione aveva anche fatto lievitare il valore economico dell’azienda. (Fonte: La dittatura delle abitudini. Come si formano, quanto ci condizionano, come cambiarle. Di Charles Duhigg)

Ecco, portare in azienda la cultura della sicurezza significa questo: cambiare prospettive e visione.

La strada da fare è ancora molta, un ragazzino di 13 anni è morto perché è entrato di nascosto in un cantiere, ha trovato le chiavi in un muletto, l’ha guidato e si è ribaltato. Manca la cultura della sicurezza perché, di fronte a questa disgrazia, si dibatte ancora su di chi sia la colpa: di chi ha lasciato le chiavi sul muletto, del ragazzo che è entrato in una proprietà privata, dei suoi genitori… dibattiti come questo non portano da nessuna parte, bisogna fare un altro passo indietro e ripensare a tutto il sistema.

Forse, se la sicurezza facesse davvero parte delle abitudini e della cultura, della forma mentale, non ci sarebbero operatori che si fanno male cadendo dal cestello di carrello elevatore a 6 metri di altezza o investiti da muletti in retromarcia, addirittura dotati di lampeggiante e cicalino.

Una società che ha la cultura della sicurezza non può più tollerare incidenti di questo tipo.

Lo sforzo deve essere comune: la tecnologia deve facilitare l’ingresso della sicurezza nelle aziende, la normativa deve agevolare l’applicazione delle regole, ma a monte di tutto c’è chi lavora, imprenditore e operatore devono ripensare al fine ultimo del lavoro che stanno facendo, riconsegnando alla qualità il primato sulla quantità.

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