
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un calo dei prezzi delle materie prime. Ma malgrado ciò, l’importazione potrebbe costare al Paese almeno 80 miliardi di euro in più rispetto al pre-Covid.
Stime e numeri che arrivano direttamente dall’Ufficio studi della CGIA, che segnala come negli ultimi tre anni i rincari sono stati di circa il 25,7%, a fronte di un aumento di quelli energetici pari al 101,3%.
E’ facile ricordare l’aumento del prezzo del carbone (+463,3%), del gas naturale (671,6%). A cui si aggiungono ferro, rame, stagno, zinco, alluminio e chiaramente anche il petrolio (+57,7%).
Il trend al rialzo si è interrotto in maniera significativa solamente ad aprile di quest’anno per i metalli e a settembre per l’energia.
Ad aver contribuito a questo rincaro dei prezzi anche il costo dei noli marittimi dei container che anche se nell’ultimo anno ha subito una contrazione (-68%), rispetto al periodo pre-pandemico risulta più elevato del 170%.
L’incremento dei prezzi delle materie prime è strettamente connesso all’aumento a doppia cifra dell’inflazione. Una situazione che colpisce in maniera severa il potere d’acquisto degli italiani, la cui domanda si sta riducendo nettamente.
Nelle previsioni della Commissione europea, i consumi delle famiglie italiane sono in salita ma di un poco rappresentativo 0,1%. Una situazione che penalizzerà imprese e lavoratori.
L’unica via percorribile al momento sembra essere la riduzione del cuneo.