Il piano industriale europeo per la neutralità climatica è realtà.
Dal primo febbraio, data di pubblicazione da parte dell’UE del Green Deal Industrial Plan for the Net-Zero Age l’Europa persegue l’obiettivo di garantire la leadership industriale nelle tecnologie net-zero.
Un piano che basa la sua esistenza su:

  • Normativa chiara, semplificata
  • Accesso rapido ai finanziamenti
  • Formazione sulle competenze necessarie
  • Nuove regole commerciali per le supply chain resilienti.

Net Zero: azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050

Il fine ultimo è chiaro: non più ridurre ma azzerare le emissioni per frenare l’aumento delle temperature globali. In questa direzione l’EU si prepara ad essere la prima economia a impatto zero entro l’anno 2050.
Grazie al Green Deal Industrial Plan dovrebbero arrivare inizialmente fondi ponte a breve termine nella misura di 250 miliardi di euro, che lasceranno poi il passo a un nuovo Fondo sovrano europeo.

L’Europa che ha perso sul fronte dei chip e delle tecnologie abilitanti la digitalizzazione (in primis AI e realtà aumentata) ha ora gli strumenti per competere e fare la differenza su questo terreno. Una partita nella quale anche il nostro Paese con le sue filiere può diventare il modello da cui prendere spunto.

L’economia europea che gira intorno all’economia circolare

Il cambiamento di paradigma prevede l’applicazione dei principi dell’economia circolare alle linee di produzione industriali mediante il riuso degli scarti di produzione e la valorizzazione di materie prime seconde e a dine ciclo vita dei prodotti. Un approccio end-to-end grazie all’innovazione digitale abilitante.

Si tratta chiaramente di un cambiamento che richiede impegno dalle aziende ma le spinte sono facilmente ravvisabili in strumenti quali:

  • Competenze (Green Jobs)
  • Investimenti (Venture Capital)
  • Strumenti finanziari (Circular Economy Plafond)
  • Innovazione sistemica che lavori sulla cross-settorialità e sul concetto di filiera.

La sfida richiede impegno da parte delle aziende che trovano limiti significativi nella burocrazia, nei costi, nella difficoltà di calcolare i ritorni economici, nella mancanza di competenze e infine, nell’inflazione e nelle complessità dettate dalla situazione economica globale.

Malgrado ciò, le aziende del Belpaese stanno provando a scommettere sul futuro green. In Italia è aumentato il numero di brevetti delle green technologies; crescono le imprese Benefit Corporation, che creano valore condiviso duraturo per l’ambiente e le persone; l’interesse verso la sostenibilità sta trovando terreno fertile nelle nostre filiere.

Fare rete e ragionare da filiera faranno la differenza

Per lo sviluppo del Net Zero le risorse economiche non mancano. Quello che ancora langue sono le competenze. E se talenti e tecnologie oggi in Italia arrivano soprattutto dal mondo delle startup, fare innovazione sostenibile significa solo una cosa: ragionare non più in ottica individualistica ma in ottica di sistema.

Anche in questo, dal punto di vista industriale, il nostro paese è costituito da distretti organizzati in filiere. Numerosissime piccole aziende che collaborano con poche aziende di media dimensione. Un malus per il passato, in termini di crescita dimensionale media delle nostre aziende ma un plus oggi perché rappresenta il terreno ideale per lo sviluppo di un’economia sostenibile.

Le nostre filiere sono il seme del Made in Italy su cui è possibile porre le basi per una crescita futura. Se si introducono le giuste tecnologie in grado di abilitare la transizione.

Le filiere dell’agroalimentare, in questo, offrono tanti spunti interessanti di riflessione. Ma bisogna un pò iniziare a pensare a settori come le costruzioni, rivoluzionando l’approccio tradizionale e facendo sostenibilità di filiera.

Solo un modo nuovo di vedere il mondo economico e industriale potrà darci nuovi input e fare la differenza, dando di nuovo all’Italia un vantaggio competitivo cruciale per il futuro.