
Superare la dipendenza dalla Cina, riaprendo le miniere chiuse oltre 30 anni fa, per il loro impatto ambientale o per i pochi margini di guadagno.
É il piano che stanno mettendo a punto il ministero delle Imprese e del Made in Italy, che sono già al lavoro sulla mappatura dei possibili siti di estrazione presenti nel nostro Paese.
Un passo ricco di incertezze ma necessario per la corsa alle materie rare, contro i rischi sull’approvvigionamento delle materie prime critiche, la cui domanda è destinata a divenire esponenziale, per consentire la transizione ecologica e digitale.
Punto di partenza sono proprio le miniere chiuse a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Su estrazione e lavorazione, le norme pare potranno essere pronte già a fine anno.
34 materie prime critiche definite dall’Unione europea
Il regolamento sulle materie prime critiche è in dirittura d’arrivo. Traccerà la strategia dell’Italia ma anche dell’Europa tutta, che ha già definito quali sono le 34 materie prime critiche, di cui 16 considerate strategiche per la loro rilevanza nella transizione verde e digitale.
Nella bozza di regolamento della Commissione europea, le “materie prime critiche” sono 34: antimonio, arsenico, bauxite, barite, berillio, bismuto, boro, cobalto, carboni da coke, rame, feldspato, fluorite, gallio, germanio, afnio, elio, elementi delle terre rare pesanti, elementi delle terre rare leggere, litio, magnesio, manganese, grafite naturale, nichel – grado batteria, niobio, fosforite, fosforo, metalli del gruppo del platino, scandio, silicio metallico, stronzio, tantalo, titanio metallico, tungsteno, vanadio.
L’Italia, che possiede appunto parte di queste materie prime critiche (necessarie per pannelli solari e batterie elettriche), sta già pensando alla riapertura delle vecchie miniere, ricche di un potenziale importante che va riattivato.
Una sfida ma anche una grande opportunità che potrebbe godere di un aiuto del fondo strategico nazionale, istituito con il ddl Made in Italia (dotazione da un miliardo) che ha raccolto l’interesse anche di fondi sovrani esteri.
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Terre rare: la mappatura del territorio italiano
I giacimenti di terre rare in Italia sono situati in Sardegna, Abruzzo, Lazio, Toscana, Liguria e nelle regioni dell’arco alpino (dal Friuli al Piemonte).
In Veneto si trova il rame ed il magnesio; in Trentino invece sono stati trovati barite, manganese, magnesio, cobalto e rame. In Lombardia ci sono rame, barite, berillio, cobalto e sotto le Alpi piemontesi: cobalto, grafite e manganese.
La Liguria ha il maggiore giacimento del Paese di titanio e ha anche rame, grafite, manganese e barite.
In Toscana rame, antimonio, manganese e magnesio; nel Lazio cobalto, manganese e barite. Anche in Sardegna c’è rame, antimonio e barite, mentre l’Appennino abruzzese ha diversi giacimenti di bauxite e uno di manganese.
La bauxite si trova anche in Campania e Puglia mentre in Calabria si segnalano manganese, barite e grafite ed in Sicilia antimonio e manganese.
Entro la fine dell’anno, un quadro certo
Entro la fine dell’anno, secondo i ministeri italiani, il quadro sarà più chiaro. Sia a livello europeo che tricolore. Le normative saranno messe a punto e si comprenderà meglio che tipologie di progetti potranno presentare le imprese.
Un passo importante per l’Europa che oggi dipende da paesi terzi non solo per l’estrazione ma anche per la trasformazione. Con la Cina che da sola garantisce il 49% del fabbisogno totale di materie prime critiche globali.
Non è da dimenticare inoltre che l’Italia è leader nel riciclo con un recupero di materie prime critiche importante. Il riciclo potrebbe quindi soddisfare circa il 32% del fabbisogno annuo italiano di materie prime strategiche.