Il saturnismo, ossia l’intossicazione da piombo, è un problema noto fin dai tempi di Nerone, quando il medico greco Dioscoride Anazarbeo, che viveva nella Roma imperiale, si rese conto che l’uso di pentoloni e otri di piombo per trattare il mosto e conservare il vino stava producendo avvelenamenti di massa. Ad aggravare la situazione era l’abitudine di addolcire il vino con il cosiddetto “zucchero di Saturno”, a base di diacetato di piombo. Secondo Joseph Nriagu, Professore Emerito di Chimica nell’Università del Michigan, il comportamento eccentrico di imperatori come Tiberio, Caligola e Nerone era dovuto proprio all’intossicazione da piombo procurata dall’abbondante consumo di vino.

Il saturnismo continua oggi a essere un problema estremamente grave, a generarlo però non è il vino ma un altro elemento di uso comune: le batterie. L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha stimato che nel 2019 quasi un milione di persone sono morte a causa dell’esposizione al piombo. Ma gli effetti più gravi sono quelli sulla qualità della vita: il saturnismo genera attualmente il 30% delle disabilità intellettive idiopatiche, il 4,6% delle malattie cardiovascolari e il 3% delle malattie renali croniche.

“Ovviamente a causare i problemi – sottolinea il Direttore del consorzio di produttori Ecopower Giuliano Maddalenanon sono le batterie al piombo in loro stesse, ma il loro trattamento inadeguato quando finiscono il loro ciclo di vita. Una batteria al piombo trattata e gestita in modo corretto è un plus per l’ambiente perché rappresenta una fonte di energia alternativa ai combustibili fossili ed è riciclabile al 95%. A fare la differenza, quindi, sono i controlli che vengono esercitati sulle filiere”.

“Gli audit del consorzio Ecopower sono rigorosi – racconta Luciana Sallustio, sustainability manager e responsabile del sistema di gestione integrato di Piomboleghe srl. – Il nostro è un impianto che recupera i rifiuti piombosi, e siamo uno dei punti di destinazione delle raccolte di batterie esauste organizzate da Ecopower. I controlli del consorzio sono di vari tipi. Innanzitutto verificano che da parte nostra ci sia un rispetto assoluto delle prescrizioni del Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in merito alla sorveglianza medico-sanitaria: il piombo non deve superare certi limiti né a livello ambientale né a livello biologico, ossia nel sangue dei lavoratori; questi ultimi sono sottoposti a un monitoraggio medico costante del quale Ecopower ci chiede conto. Dopodiché gli auditor del consorzio verificano che le emissioni nell’ambiente (aria, acqua e suolo) siano sotto le soglie consentite e che i processi operativi rientrino pienamente negli standard di conformità, così come previsto dalle certificazioni ISO 9001, 14001 e 45001, che sono focalizzate rispettivamente su qualità dei processi, gestione ambientale e sicurezza e salute dei lavoratori”.

Già 15 anni fa, nel 2008, i legislatori italiani avevano capito che nel trattamento delle batterie al piombo il livello di controllo è un aspetto cruciale – spiega il Direttore di Ecopower Maddalena. – Il Dlgs 188/2008, di fatti, applica la direttiva europea non solo implementando uno specifico regime di responsabilità estesa del produttore per le batterie, ma anche precisando che i detentori di batterie esauste hanno la possibilità di consegnarle ai sistemi collettivi dei produttori gratuitamente e indipendentemente dalla composizione chimica e dall’origine. Questa facilitazione, teoricamente, avrebbe dovuto favorire le filiere sottoposte al controllo dei produttori. Ma la realtà dei fatti purtroppo è diversa. I detentori di batterie, che in virtù del libero mercato possono scegliere i loro canali senza costrizioni di alcun tipo, spesso e volentieri preferiscono canali esteri che non sono controllati dai sistemi collettivi. Stimiamo che in Italia tra le 50.000 e le 100.000 tonnellate annue di batterie esauste, su un flusso totale di 170.000 tonnellate, siano avviate a questi canali esteri non controllati. Il motivo della loro scelta è molto semplice: chi risparmia nella sicurezza dei lavoratori e adotta standard ambientali più bassi è in grado di offrire ai detentori soldi che le filiere controllate non riescono a generare. Esportare è molto semplice: il detentore fa una notifica, la Regione verifica che l’impianto estero di destinazione sia autorizzato ed è tutto. Non ci risulta che le Regioni vadano a visitare le fonderie estere per controllare l’adeguatezza dei loro processi operativi.

Noi, che siamo fermi sostenitori del libero mercato, non chiediamo che il sistema all actors venga messo in discussione – conclude Maddalena. – I detentori devono rimanere liberi di destinare le batterie a un’ampia gamma di recuperatori. Però a patto che ogni singolo recuperatore, indipendentemente dal paese in cui si trova, obbedisca ai medesimi standard e sia sottoposto allo stesso tipo di controlli. Altrimenti non si tratta più di libero mercato ma di una selvaggia corsa al ribasso dove, per forza di cose, a risultare vittoriosi sono i player che inquinano di più e fanno ammalare i loro lavoratori”.